{ Muriel Barbery, L'eleganza del riccio

{ Muriel Barbery, L'eleganza del riccio
Su una cosa però siamo d'accordo: l'amore non deve essere un mezzo, l'amore deve essere un fine.

mercoledì 25 gennaio 2012

...a volte ritornano.

Ebbene sì. Sono tornata indietro nel tempo questi giorni di preparazioni di esami, di patemi d'animo e di scombinazioni particolari d'umore che sono troppo legate a situazioni a cui non mi sarei dovuta abituare così facilmente ma... vabbè, ormai è andata.
Riassumere quello che è successo in questi mesi sarebbe un'impresa impossibile e davvero non sarebbe nemmeno il caso... così incollo l'introduzione dell'ennesimo tentativo letterario (fallito, ovviamente) che ho iniziato quest'estate ad Alghero... così, per ritrovarlo quando, tra qualche tempo tornerò a rileggere queste pagine telematiche.

“Cosa ho che non va?”
Continuava a farsi la stessa domanda senza riuscire a trovare altra risposta se non che non si amava abbastanza e, molto probabilmente, quella sensazione arrivava a pelle a coloro che incontrava sul suo cammino.
“Peccato però che questo discorso funzioni principalmente con i ragazzi” continuava nel suo monologo interiore mentre cercava un'ennesima imperfezione sul viso, davanti lo specchio.
“Del resto lo dicono tutte: nella vita incontrerai un sacco di cretini, non lo sai?”
Chiara aveva raggiunto i 21 anni senza baciare nessuno. Figuriamoci andare oltre.
Senza fidanzarsi con nessuno e senza lasciare che qualcuno si mettesse al suo fianco, le prendesse la mano e la portasse nel suo cuore per farle conoscere un posto del tutto sconosciuto.
Una o due occasioni c'erano state tra i 16 e i 18 anni ma non erano state occasioni colte per diversi motivi. Una di quel paio di occasioni era uno dei suoi rimorsi più grandi.
Ne erano successe di cose. Era successo un po' di tutto, ma non cambiava quel senso di inadeguatezza al mondo che sperava se ne sarebbe andato presto ma che non accennava a lasciare il suo posto. Forse “un po' di tutto” non è l'espressione giusta... diciamo che erano successe una serie di cose che succedono un po' a tutti i teenager e non proprio più teenager.
Uno degli ultimi eventi più significativi (oltre al fatto che il ragazzo di cui era innamorata l'aveva delusa su tutta la linea, aiutandola a disinnamorarsi gradualmente dell'idea di lui che si era (erroneamente!) creata e al fatto di aver dato 10 esami in poco più di due settimane durante la sessione estiva pur continuando a fare vita sociale seppur sotto antibiotici e con una voce da trans da fare invidia a Lady Gaga nei momenti di maggior splendore) della sua giovane vita era stato il periodo di tre mesi passato a Bruxelles per il servizio civile europeo.
Le era servito davvero tanto (nonostante sua madre continuasse a rinfacciarle i sacrifici fatti per starle dietro), talmente tanto che se ne stava accorgendo a due mesi di distanza dal suo rientro.
Uno degli effetti più evidenti era stata l'esigenza di crescere, di far capire a tutti che seppur “piccola” aveva le idee chiare sul suo futuro e non avrebbe permesso che qualcun altro le rubasse i sogni. Così facendo si era chiusa ancor di più su se stessa per quel che riguarda la sfera sentimentale, non facendo passare più nessuno oltre un certo limite, a parte l'unica persona che avrebbe dovuto ricacciare fuori dalle aste della palizzata. Ma questo è un altro discorso.
Tornata dalla capitale europea infatti aveva seriamente capito che in quel periodo non aveva davvero tempo e modo di star dietro a un ragazzo che diventasse qualcosa in più di una relazione così, tanto per non rimanere soli.
“Io sola alla fine ci sto anche bene... e davvero, non posso permettermi ulteriori impegni.”
Continuava a ripeterselo in loop, per convincersi della veridicità dell'affermazione che invece la stava logorando in profondità perché, proprio quando aveva smesso di aspettarsi qualsiasi prova di segno di interesse da parte del sesso opposto... si sono messi in fila i peggiori del mondo.
Non faceva tanto per dire quando, scuotendo la testa, raccontava alle sue amiche che davvero non capiva come fosse possibile che la legge di Murphy ci azzeccasse sempre.
Prima l'accollo telematico che sarebbe anche carino e romantico se non fosse che non si smuove di un millimetro dal rapporto del “messaggio privato”... finché stava a Bruxelles le andava bene ma adesso che motivo c'era per non incontrarsi? Si erano anche scontrati più volte nella zona dell'università... perché non mettersi d'accordo? Mah, non riusciva a capirlo e archiviava il caso dicendo che non le interessava davvero e avrebbe aspettato un segno di vita da parte sua prima di chiudere definitivamente la pratica.
Poi ci si è messo il professore provolone che l'aveva spaventata davvero e che non sapeva come prendere, né tanto meno come comportarsi, di conseguenza. Una di quelle persone interessanti, colte, stimolanti, dai mille interessi... ma con un'attenzione particolare per tutte le alunne, a turno. Il che non la tranquillizzava affatto, se oltretutto pensava che doveva ancora verbalizzare un (forse?) voto che non si sapeva se esistesse o meno e l'idea di dover dare un altro esame alla cieca, così, solo perché erano 12 crediti decisamente appetitosi, sempre con lui che la inquietava con la sua presenza... non era molto sicura di voler rischiare e cercava semplicemente di non pensarci.
Prima di partire poi tutto l'interesse e la simpatia improvvisa per quel compagno di corso che a malapena salutava l'anno precedente solo perché ci aveva dato un esame insieme... le puzzava: conoscendosi si stava soffermando un po' troppo su di lui e averlo sognato sdoppiato non aiutava certo a non pensarci.
Aggiungiamoci poi la ciliegina sulla torta, il “dulcis in fundo”, il coronamento del quadro desolante che il suo cuore, il suo cervello e il suo stomaco contemplavano scuotendo chi la testa, chi un dito e chi singhiozzando disperatamente: il viscido che l'aveva scambiata per una ragazza di facili costumi. Le mancava, in effetti.
Il suo corpo oltretutto non la aiutava nella comprensione di quel comportamento assurdo: era sovrappeso e non aveva intenzione di seguire un'ennesima dieta che l'avrebbe resa isterica più di quanto già non fosse esaurita, quindi sperava che questo fattore l'avrebbe preservata da tentativi di approcci del genere, che la spaventavano quanto la disgustavano.
La facilità con cui quel tipo, di poco più grande di lei, le si era proposto come accompagnatore per una serie di incontri senza legami e senza troppi pensieri l'aveva così scioccata che non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine di lei che picchiava a sangue quel disgraziato.
Cosa che ovviamente non aveva fatto al momento perché troppo scioccata e troppo convinta che la stesse prendendo in giro. A dirla tutta, all'inizio ci aveva anche riflettuto sopra seriamente.
Le si stavano proiettando davanti una serie di immagini della vita meno complicata (per alcuni versi, non certo per altri!) che avrebbe potuto avere se avesse accettato la proposta indecente.
Ringraziando Dio (e una serie di amici che non si sono certo tirati indietro nel momento del bisogno, rispondendo alle mail e alle telefonate scioccate di una Chiara che non si capacitava di quello che le era capitato) era rinsavita presto, specie dopo aver visto che lo shock l'aveva portata a raccontare il tutto persino a sua madre.
Inutile descrivere la reazione della mamma che, scioccata, dopo aver chiesto se ci avesse provato toccandole i capelli o cosa, le aveva imposto di smettere di parlare con quel “deficiente di prima categoria”. Sua mamma chiamava tutti “deficiente” o “cretino” quando facevano qualcosa che non andava bene per lei.
Chiara non sapeva bene come definirlo... anche perché, come aveva ammesso alla sua migliore amica che, conoscendola meglio delle sue tasche, aveva fatto la domanda giusta, le rodeva davvero non poco il fatto che il ragazzo in questione le sarebbe potuto interessare se non si fosse presentato così male. Probabilmente l'avrebbe anche potuta convincere a concedersi (in parte, molto in parte... le sue idee a proposito erano molto rigide o perlomeno non aveva incontrato qualcuno che la convincesse ad ammorbidirle) se si fosse sprecato a tentare un approccio un minimo (ma un minimo,eh!) meno animalesco e meno da agente bancario. Le aveva proposto il tutto presentandoglielo sotto tutti i suoi aspetti positivi, convincendola quasi che fosse un investimento per il futuro... ma certo.
La sua amarezza rasentava i massimi storici e non sapeva davvero più come fare per far sì che la sua fiducia nel prossimo (specie se del sesso opposto e se in una fascia d'età compatibile con la sua) cominciasse a crescere di nuovo e così, una sera in cui i suoi erano andati da tutt'altra parte per una conferenza su San Michele decise di prendere in mano il notebook e cominciare a buttare giù i suoi pensieri per cercare di sfogarsi e magari trovare una soluzione allontanandosi dall'occhio del ciclone in cui si ritrovava e da cui non riusciva a scappare.
Si sentiva molto Dorothy del Mago di Oz, purtroppo senza scarpette rosse, senza cagnolino, senza compagni di avventura e, soprattutto, senza un Mago di Oz che si rispetti.
Aveva solo il notebook sulle gambe, un vestito da lavori di casa (aveva appena finito di stirare e di far finta di studiare) e non aveva nemmeno voglia di iniziare a scrivere, ma cominciò lo stesso e iniziò a scavare nelle sue esperienze precedenti che l'avevano portata a questo punto di non ritorno.
La musica che inondava la sala, le dita che scorrevano veloci sulla tastiera e un milione di immagini che le passavano davanti gli occhi e che, affollandosi, creavano una serie di sfumature di colori, sorrisi, impressioni ed esperienze che solo mettendo tutto nero su bianco avrebbe potuto cercare di rendere fisse e stabili. Almeno dal suo punto di vista, per quello che la riguardava, ovviamente.
Tutto cominciò da una pagina bianca, una barretta nera, una tastiera e delle unghie viola.
Bisogna sempre fare attenzione al colore dello smalto.
“Sono i dettagli che contano” continuava a ripetersi, mentre dal bagno si spostava nel salotto, con la decisione presa nel cuore di cominciare a buttare giù quello che state leggendo in questo momento.
Aveva finito in meno di 24 ore uno dei libri che sentiva le avrebbe cambiato la vita.
“Blanca como la nieve, roja como la sangre” di Alessandro D'Avenia. Il titolo italiano è “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, ma in spagnolo il modo di dire è un altro e così ecco spiegato il mistero della neve. Oltretutto lei era anche la madrina di Neve, inutile dire che il titolo le piacesse di più in spagnolo. Ma in spagnolo le piaceva tutto di più, non c'era verso.
Sapeva che l'avrebbe cambiata, lo aveva intuito dalla prima volta che aveva visto la copertina in libreria, quasi un anno prima, ma non lo aveva mai acquistato perché sua madre le aveva rimproverato le troppe spese per i libri (erano tutte e due malate di carta stampata) e suo padre continuava a ripetere che da un momento all'altro sarebbero usciti loro di casa per far spazio ai libri.
Ma il giorno prima era stato diverso. Era occupata
con il ragazzo di cui si era innamorata da tempo (ma ai suoi non riusciva ancora a dire la parola “innamorata”, usava “persa”, “cotta” o altre perifrasi... sapeva che l'avrebbero guardata male altrimenti) e stava aspettando che sua madre finisse il giro nella libreria, dando un'occhiata ai libri in lingue straniere. Aveva visto solo quel titolo. Lo aveva afferrato e lo aveva mostrato alla madre, che le aveva detto che non aveva soldi con sé. Non era vero, i soldi li aveva, alla fine del suo giro le aveva chiesto se lo volesse davvero quel libro e lei, sorridendo le aveva detto “Certo, così faccio anche esercizio,no?” e, soddisfatta del suo mezzo raggiro, era uscita dalla libreria stringendo tra le mani l'edizione economica di un libro che era sicura non l'avrebbe lasciata dormire tanto tranquilla.
Quando aveva queste sensazioni raramente si sbagliava, purtroppo e per fortuna per lei, e così aveva cominciato a leggere. Una lettura devastante, partecipata, sentita... a tal punto che, quando doveva interrompere per fare qualcos'altro, sentiva di essere riemersa da un'apnea incredibile, dalla quale doveva riprendersi sgranando gli occhi e respirando a fondo.
Entrare in quel mondo, in quella storia, in quelle esistenze fittizie ma probabili le aveva fatto nascere e crescere nel petto e nel centro dello stomaco la necessità morbosa di mettersi a scrivere anche lei. Come se facesse altro nella vita da cinque anni a quella parte.
Come se fosse questione di vita o di morte. Come se non ci fosse nient'altro da fare.
“Sarà che scrivere è la psicoanalisi dei poveri” si ripeteva mentre continuava a parlare di sé in terza persona. “Sarà che non riesco a tenere più un diario e tenere un blog non è il caso visto che non potrei parlare liberamente di quello che sento”.
Fatto sta che eccola qui, a cercare le parole giuste, le espressioni adatte e le immagini calzanti per riversarsi in parole scritte e stampate che forse un giorno qualcuno leggerà, o magari anche no.
O magari rimarrà nei files del computer come le centinaia di files iniziati e mai finiti di abbozzi di sfoghi letterari come questi.
Chissà... sa solo che questa era il primo passo, la prima pietra, la prima mossa...
Questa era solo l'introduzione.

Ovviamente i vari capitoli a cui avevo accennato prima sono stati tutti chiusi senza nessuna speranza d'appello...
Ovviamente mi sono rimessa a dieta da 15 giorni (ottenendo anche qualche risultato)...
Ovviamente il professore provolone l'ho dovuto riaffrontare (grazie a Valeria che non mi ha lasciata sola, ovviamente!) e, oltre a verbalizzare l'esame di luglio ho verbalizzato anche quell'esamone da 12 crediti di cui parlavo e che spero mi varrà come tappabuchi per la tesi...

Ovviamente non so quando tornerò a scrivere su questo blog, ma mi è mancato davvero troppo e sento la necessità fortissima di scrivere di quello che sento, quello che penso, quello che vivo... e allora ho deciso: una volta al mese scriverò un intervento, nello specifico un intervento che riassuma quello successo durante il mese trascorso... ovviamente senza impegno.

...perché a volte ritornano.

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